Il commento al testo di Osea è ispirato da un luogo significativo della città di Gerusalemme.

Per questa parte del capitolo quarto, è stato scelto come luogo significativo il Monastero della Santa Croce, ubicato all’interno di un parco, in una piccola valle, tra la sede del Parlamento e il Museo di Israele.

(Osea 4,12)

Il mio popolo consulta il suo pezzo di legno
e il suo bastone gli dà il responso,
poiché uno spirito di prostituzione li svia
e si prostituiscono, allontanandosi dal loro Dio.

Commento

Tra i luoghi significativi di Gerusalemme, vi è un edificio dalla particolare suggestione: il Monastero della Santa Croce. Utilizzeremo questo luogo come chiave di lettura per la nostra riflessione. Il Monastero, infatti, ricorda il luogo dove si trovava l’albero che fu tagliato per realizzare la Croce di Gesù. Un altro “pezzo di legno”, da considerare molto seriamente. L’immagine che troviamo nel libro di Osea parla proprio di “legno”, in modo molto potente, ironico e tragico: “Il mio popolo consulta il suo pezzo di legno”. Amaro dileggio di ogni fede fallimentare.

Dal contesto del capitolo 4, emerge che il problema del popolo è la mancanza di conoscenza. Vediamo cosa ci dice al riguardo la menzione del pezzo di legno. Immaginiamoci un albero, piantato davanti a noi. Un albero qualsiasi, come quelli che vediamo fuori dalle nostre finestre, in un giardino, lungo la strada o in un bosco. Era così anche quello da cui trassero il legno per la croce di Gesù. Non è dato sapere, ovviamente, dove sorgesse davvero quell’albero. Una zona boschiva come quella dove sorge il monastero, nei pressi di Gerusalemme, è comunque un luogo verosimile, per andare a far legna. Magari anche il legno per costruire gli idoli vani, cui si rivolgeva il popolo, era stato tagliato da quelle parti, in quel piccolo avvallamento.

In realtà non ci interessa sapere dove si trovasse l’albero da cui fu tratto il legno della croce. Siamo invece molto interessati alla riflessione, all’insegnamento e alla vita che il Monastero, proprio in questo luogo, nei pressi di Gerusalemme, ha custodito e tramandato.

Torniamo a immaginare un albero davanti a noi. Immaginiamo di veder scorrere delle immagini, come quelle di un film. Possiamo andare in avanti e vedere cosa succederà a quel legno. Possiamo anche scorrere indietro nel tempo e vedere come quell’albero si sia sviluppato. La tradizione sapiente che il Monastero della Santa Croce custodisce e trasmette, ci offre esattamente questo servizio. Immagini, ambienti, affreschi, quadri, tutto esprime per noi come si sia generato l’albero e cosa sia accaduto, in seguito, al legno che ne fu ricavato.

Vediamo gli antefatti. Ci portano molto indietro, fino ad Adamo, fino al cuore di ogni esperienza umana. Una tradizione ebraica narra come il terzo figlio di Adamo, Set, ricevette dall’angelo con la spada fiammeggiante (posto a custodia del paradiso terrestre), tre semi. Come gesto di redenzione e salvezza, i tre semi si sarebbero dovuti piantare, dopo la morte di Adamo, nella sua bocca. Dai tre semi nacque un solo albero il cui legno segnò vari momenti della storia della salvezza.

Un alberello salvifico accompagnò anche la vicenda di Lot nel suo desiderio di redenzione (dopo aver concepito discendenza con le sue figlie, cfr. Gn 19,30-36). Un germoglio da innaffiare con acqua del Giordano: la crescita sarebbe stato segno di perdono e di salvezza. Non solo si sviluppò, ma, crescendo, l’albero si differenziò, moltiplicandosi dall’unica radice in un pino, un cedro e un cipresso. Secondo la tradizione il luogo fecondo e simbolico di tutti questi alberi è proprio lì, dove sorge il monastero, nello spazio accuratamente indicato, dietro all’altare della chiesa.

Il racconto, che ci narra il Monastero, raggiunge una grande espressione unitaria nell’”albero della Croce”, dove culmina la storia di ogni salvezza, splendente di vita e di risurrezione.

Il “pezzo di legno” menzionato da Osea nella sua critica al popolo infedele, è immagine di una vana superstizione. Il legno della Croce, segno di amore nell’abbraccio salvifico del redentore, è il definitivo albero della vita per il genere umano e per tutta la creazione. È dunque sufficiente toccare o guardare o pregare davanti ad un pezzo di legno a forma di croce per fare esperienza del dono di vita, germinato sul Calvario? No di certo. Tuttavia sappiamo purtroppo che non mancano, nelle nostre devozioni cristiane, gesti e atteggiamenti che esprimono superstizione più che  fede.

Quando le persone soffrono, sono particolarmente esposte ad aggrapparsi a qualsiasi “pezzo di legno” possa dare loro una speranza. Diventa così particolarmente importante evitare di rivolgersi e legarsi ad un inutile bastone.

Il rispetto e l’accoglienza dei cammini che segnano la vita altrui, ci può rendere maggiormente adulti nella fede, favorendo una migliore conoscenza di se stessi, e di ciò che ci trascende, anche in coloro che faticano, nel dolore, ad orientarsi.

Così comprendiamo che la nostra preghiera, se non interpella il cuore, se non dilata in noi l’amore, se non ci fa crescere e cambiare,  non ci aiuta a diventare adulti nella fede. È una preghiera che non ci mette in relazione con l’albero della Croce. Invece di pregare, “consultiamo un pezzo di legno”.

Luciano Ruga