Solo l’amore ci salverà. Non solo quello divino, culminato nel dono di vita di Gesù Cristo, ma anche quello povero e umano, degli esseri viventi.

La comunità dei Silenziosi Operai della Croce di casa Mater Misericordiae (Gerusalemme), ha inteso favorire una presa di coscienza a questo riguardo, realizzando un seminario di studi.

La città Santa di Gerusalemme, culla di religioni e fonte di rivelazioni, provoca, davanti alla realtà del dolore, una sfida inevitabile: come vivere in pienezza la propria umana esistenza.

Rivolto in particolare a quanti operano a servizio delle persone sofferenti (per lavoro o per azione di volontariato) il seminario di studi si è proposto di aiutare a vivere bene, per migliorare le relazioni con gli altri, in particolare nella prestazione di cure.

Il titolo ha voluto offrire, in estrema sintesi, una scelta interpretativa della lettera apostolica “Salvifici Doloris” nel suo quarantesimo anniversario (Giovanni Paolo II, 1984). Correggendo “doloris” in “amoris” si è scelto il quarto capitolo della lettera (“Gesù Cristo: la sofferenza vinta dall’amore”), come punto di partenza per compiere passi in avanti nella comprensione di cosa sia effettivamente “salvifico” per la propria vita.

Una salvezza da vivere al tempo presente e non da attendere come ricompensa dopo la morte.

Da questo capitolo sulla vincente forza dell’amore, è stato tratto il testo biblico di riferimento, Giovanni 3,16: “Dio infatti ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (3,16).

Sapiente la riflessione biblica offerta del primo relatore, fr. Alessandro Cavicchia, docente presso lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme: “Così tanto Dio ha amato il mondo…” (Gv 3,16): l’amore di Dio, anima di ogni autentico incontro”.

Prezioso l’inizio della riflessione sul dialogo tra Gesù e Nicodemo, che sostanzia il contesto della citazione espressa dal titolo. Il semplice “essere umano” è la qualifica riservata dall’evangelista all’interlocutore di Gesù, solo in un secondo momento qualificato come “un capo dei giudei”.

Questo livello umano non va messo da parte durante l’intera lettura del brano evangelico (soprattutto non va mai messo da parte nella propria realtà di vita, nelle relazioni con gli altri e con Dio stesso).

Una serie di passaggi conducono l’essere umano ad entrare nel Regno, a sperimentare la salvezza. Dalla conoscenza all’esperienza, dall’oscurità alla piena luce, dalla presenza fisica alla condivisione di mondi interiori, dai segni compiuti da Gesù maestro al “Segno” totale dell’amore espresso sulla croce. È in sintesi una nuova nascita, non circoscritta a se stessi ma capace di generare, di far rinascere anche gli esseri umani con cui si entra in relazione.

Il seminario di studi ha voluto accostare al tema biblico una considerazione scientifica, prescindendo da credenze più o meno religiose. “Amore e umanità nel “caregiving”: una cura amorevole è la forza della nostra umanità”, è il titolo del contributo offerto dalla psicologa dott.sa Minerva Jaraysah, dell’Università di Betlemme.

È comune esperienza quanto sia intensa la positività (e purtroppo anche la negatività) che dalle relazioni interpersonali si irradia ad ogni aspetto dell’esistenza. Quando la sofferenza è implicata, la profondità della questione raggiunge gli estremi, fino alla soglia stessa dell’esistenza, fino alla morte. È piuttosto evidente che non sia possibile prescindere da quell’incomodo ospite che è il dolore.

Dedicarsi alla relazione con la persona sofferente ha certo implicazioni esigenti. Ci si trova a dover raggiungere livelli ed esprimere atteggiamenti che hanno bisogno di una scelta, consapevole, coltivata. Quanto la relazione con l’altro è particolarmente esigente, la risposta non può nascere solo da motivazioni economiche o di facciata.

La sofferenza dell’altro tende inevitabilmente a sollecitare l’umanità di chi vi entra in contatto. Apertura ed equilibrio emozionale rendono possibile giovarsi delle ricadute positive che un servizio amorevole può suscitare: senso di pienezza, empatia, compassione, flessibilità personale, capacità comunicative, crescita professionale, sensibilità al bene comune, apprezzamento, gratitudine, senso delle cose, una serie di benefici rigeneranti che nel contempo si ricevono e si trasmettono, in un virtuoso interscambio tra i protagonisti dell’incontro terapeutico o di cura.

Prendersi cura di una persona è un elemento essenziale dell’essere umano. Riflette il potere della compassione, dell’empatia e del sacrificio di sé. È un’espressione di amore e gentilezza che supera i confini della cultura, della lingua e delle circostanze. Testimone dell’umanità che accomuna, ricorda l’importanza di saper tendere una mano a chi ne ha bisogno.

Passo compiuto per le aspirazioni della comunità di casa Mater Misericordiae. All’orizzonte, nella complessa, drammatica e fascinosa realtà della Terra Santa, si intravvedono molti altri passi, preziosi. Dimensioni consone all’esperienza di un Amore infinito.

Luciano Ruga