La parola è sempre qualcosa che ci raggiunge, lì dove siamo. Anche la parola che formuliamo noi stessi, interrompendo il silenzio. Nata dentro di noi, la parola ha sempre delle radici che la precedono.
Nella nostra esperienza conosciamo anche le parole cattive, quelle che secondo la Scrittura non dovrebbero uscire mai dalla nostra bocca (cf. Ef 4,29). Conosciamo anche parole inutili, quando il significato suona bene, ma non si vedono azioni conformi. Comportarsi bene, generosamente, è un’ottima premessa alle parole che verranno, oltre che il frutto delle parole buone seminate in noi.
Dentro di noi vi è come un albero, seminato e coltivato lungo gli anni. Dall’infanzia all’età adulta: insegnamenti, esempi, studi, riflessioni, incontri…. I frutti che nascono da quest’albero, le nostre parole, provengono da qualcosa che ci è stato donato, che è divenuto nostro, crescendo giorno dopo giorno. Come espressione di noi stessi, tutte le parole che diciamo hanno qualcosa di positivo, quando sono vere. Una parola fedele alla realtà permette di conoscere meglio noi stessi e gli altri, diventa un’occasione per crescere.
Ogni essere umano è raggiunto dalla Parola di Dio. L’incarnazione del Figlio di Dio ha trasformato dall’interno l’intera storia umana e i cammini personali di ognuno di noi. La morte e risurrezione di Gesù, il Signore, anima continuamente ogni esistenza e chiama ciascuno ad una vita nuova.
Nel dare risposta, nel trovare il senso della nostra esistenza, ci soccorre il dono dello Spirito Santo. Vorremmo definirlo un dono offerto alle nostre parole, un soffio che ci dà voce. La presenza dello Spirito ci permette di far crescere nel modo migliore, dentro di noi, l’albero da cui cogliere i frutti delle nostre parole. Per fare esperienza dello Spirito abbiamo bisogno di ascolto e di preghiera. Rispettoso della nostra libertà, lo Spirito non ci costringe mai ad ascoltarlo. Come viandante discreto, che bussa sommessamente alla porta di una casa, lo Spirito si offre come dolce ospite dei nostri cuori. Lo lasciamo entrare ogni volta che ascoltiamo la Parola di Dio.
È necessario conoscere la Parola di Dio, così come la riceviamo nella Bibbia, ricercandone il significato, con pazienza e umile studio. Vi è poi un cammino interiore per conoscere meglio noi stessi, alla luce della Parola accolta. Nella preghiera plasmiamo le nostre parole umane, perché diventino espressione, nuova e personale, di ciò che la Parola di Dio opera in noi. Sarà infine la nostra vita a produrre e custodire, come frutto maturo, le azioni che faremo, a compimento di quella Parola. Lo Spirito, continuamente, in noi e nella comunità dei fedeli, accompagna il dono della Parola ricevuta e offerta.
Una parola viva, che ci da speranza, aiuta a vincere il male e la sofferenza. Si tratta di una sfida davvero universale, a cui non ci possiamo sottrarre.
Diversa nelle cause, nei modi e nelle intensità, la sofferenza non cessa di porre domande all’intera esistenza umana, provocando la ricerca di un senso. Non ci è facile cogliere parole buone del tempo del dolore. Non ci è facile ridestare la speranza.
Nella lettera apostolica Salvifici Doloris (n. 18), Giovanni Paolo II coglieva un elemento molto forte nell’umano soffrire, una “prova della verità”. Nella preghiera di Cristo al Getsemani, appare la verità cruda della sofferenza e il desiderio di evitarla. Vi appare anche la verità dell’amore, quasi certificata nel segno di una più consapevole gratuità. La sofferenza è legata all’amore, secondo le parole del Papa, ad un amore che crea il bene ricavandolo anche dal male. La comunione che lo Spirito anima in noi ci rende come tralci uniti alla vite. Così diventiamo capaci di portare frutto sempre, anche quando il dolore disturba la sintonia tra il cuore e le parole, anche quando vorremmo un canto ma si ode un lamento.
Luciano Ruga