È un’esperienza che facciamo tutti. La sofferenza ci riguarda totalmente. Quando soffriamo ci rendiamo conto che il “malessere” in noi è ovunque. Il dolore può anche riguardare solo un piede, ma la sofferenza coglie sempre l’intero essere umano. La sofferenza, infatti, esiste solo vissuta in prima persona.

Da questa premessa comprendiamo come sia destinato a fallire ogni tentativo di sfuggire dalla sofferenza, come se fosse un’altra cosa rispetto al sofferente. Il progresso della medicina ci spinge a pensare che tutto sia risolvibile con un farmaco in più, con una terapia o, al limite, con un intervento chirurgico. È questa una tendenza che avvertiamo dominante nella società odierna. Comperare, consumare e gettare via. Così la sofferenza invece di essere vissuta (affrontata e sconfitta), è allontanata e negata. Una “cosa” da sfuggire o cancellare, illudendosi che non esista più, che sia un problema degli altri.

Se la sofferenza esiste soltanto come esperienza totale della persona, solo una reazione ugualmente integrale potrà riconoscere ad essa un valore. Quando affermo: “offro la mia sofferenza”, non ha senso figurare tra le mie mani un fardello che mi costa, come prezzo per una qualche ricompensa. Sarebbe troppo poco. Il problema sofferenza ci tocca interamente e anche la sua “soluzione” esige una totalità. Solo se la persona, con la sua intera esistenza, entra in gioco, vi sarà una salvezza, un traguardo di vita. Quando il verbo “offrire” riguarda una persona e non un pacchetto, ciò di cui parliamo è il “dono di sé”.

L’offerta a Dio è la risposta di una vita che crede nella gratuità dell’amore e nella possibilità concreta di riceverlo ed esprimerlo. Chi offre se stesso riconosce di essere ancora capace di amare e si affida alla presenza e all’amore di Dio per generare ancora vita, per gli altri e per se stesso.

In effetti, a ben vedere, ciò che a Fatima la Vergine Santa domanda ai pastorelli va al di là di un gesto esteriore. Chiedendo loro se vogliono offrire le proprie sofferenze, la Madonna coinvolge la volontà, la libertà di scegliere. Lo scopo da raggiungere, attraverso tale “offerta”, è un traguardo decisivo, vitale, è la salvezza. Non si dà “qualcosa” per la salvezza ma se stessi.

Un forte richiamo alla totalità va colto, infine, nell’insegnamento costante del Beato Luigi Novarese. L’unità di mente, cuore, azione (una formulazione consueta nei testi del beato Luigi) dice coerenza interiore ed esteriore nelle proprie azioni. Esprime anche, con forza, la totalità del coinvolgimento personale. Alla sofferenza che interamente provoca, la persona risponde con tutta se stessa, nella totalità del dono, fecondo di vita.