L’immagine della “fissione nucleare”, per spiegare gli effetti della consacrazione eucaristica, è suggestiva e ardita. La propone Benedetto XVI nell’esortazione apostolica “Sacramentum Caritatis” (2007). Il Santo Padre intendeva sottolineare, con forza, il principio di una radicale trasformazione del creato, posto in essere dalla conversione sostanziale, del pane e del vino, nel corpo e sangue di Cristo. Una trasfigurazione progressiva, vitale e inarrestabile, fino a quando Dio sarà tutto in tutti (cf. 1Cor 15, 28).

Al centro di questa, quanto mai benefica, moltiplicazione di tutto ciò che è buono, la celebrazione dell’eucaristia si pone come un cuore pulsante. Accoglie e irradia, generando vita nuova. Verso questo punto vitale il credente è invitato a dirigersi con decisione, come persona assetata, con l’intensità vitale e il bisogno assoluto della cerva, descritta nel salmo 42: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio…” (v. 2-3). Alimentarsi alla mensa eucaristica è gesto umile di chi si riconosce povero, bisognoso di pane, di cibo essenziale, di nutrimento efficace.

Rechiamoci con “fame” a celebrare l’eucaristia, con il desiderio intenso di essere accolti e rinnovati dall’amore. Nell’istituzione dell’eucaristia Gesù dona interamente se stesso, manifestandosi come il vero Agnello dell’Alleanza. Ritto in piedi, come immolato, secondo quanto sapientemente descritto nel libro dell’Apocalisse. Un amore radicale e assoluto è il primo elemento necessario per la “fissione nucleare” che salva il mondo. Il secondo elemento è la libertà.

Alleanza di amore, l’eucaristia è necessariamente sacramento di libertà. “La libertà di Dio e la libertà dell’uomo si sono definitivamente incontrate nella sua carne crocifissa in un patto indissolubile, valido per sempre” (Sacramentum Caritatis n. 9). Sono due le libertà coinvolte nell’accordo di alleanza: quella di Dio e quella dell’uomo. Nessuna di esse può venire meno. Non certo quella del Dio fedele, che mantiene la sua promessa sino alla fine dei tempi. Decisamente più a rischio quella umana, che non solo è debole e infedele, ma che spesse volte semplicemente non è, non sussiste. La libertà dell’uomo è talvolta radicalmente negata dall’uomo stesso, dal suo sottrarsi al rischio delle scelte responsabili, dalla rinuncia a comporre una definizione adulta della propria identità personale. La croce è un momento drammatico e vitale. Davanti ad essa nessuna persona può rinunciare al compito di esistere, restituendo l’incarico, con la pretesa di attribuire a Dio la causa di quanto accadrà nella propria esistenza.

Dio e l’uomo si incontrano nella necessaria libertà dell’amore. Davanti alla croce, la sofferenza appare come il sigillo della più autentica gratuità. Un amore disinteressato, totalmente gratuito, che non si sottrae allo scontro con il dolore, non teme di espropriarsi nel dono di sé. Un amore libero e liberante, che non si lascia ridurre in schiavitù. Anche nel momento della sofferenza più intensa, la forza dell’amore apre il cammino dell’esodo verso gli altri, nel dono di sé, nella passione per la vita.

Una speranza certa e contagiosa può nascere dalla coesistenza di questi tre elementi: l’amore, la libertà, la sofferenza. Necessari i primi, inevitabile l’ultimo. Se la speranza esige un “pellegrinaggio” questi tre elementi non costituiscono delle tappe, ma delle realtà che coesistono, da cui non possiamo prescindere e che non possiamo separare.

Luciano Ruga