Celebrare nonostante tutto. Non si tratta di ostinazione ma di poter cogliere, anche in tempi difficili, il respiro vitale delle esistenze. La sempre complessa situazione socio-politica, in Israele e Palestina, si è aggravata in seguito alla crescita della violenza nel conflitto.

In un tempo di morte, unico retaggio certo di ogni guerra, le celebrazioni religiose resistono, volontà di un riscatto vitale. Non è nemmeno certo che vi riescano o che sia davvero l’esito perseguito. Spesso, infatti, le religioni rafforzano divisioni e conflitti, nella logica violenta delle assolutizzazioni.

Vogliamo tuttavia accostarci con speranza alle feste giudaiche autunnali, annotando alcuni aspetti delle tradizionali celebrazioni nella settimana di Sukkot, traendone qualche spunto a beneficio del nostro cammino di fede.

La festa di Sukkot, nota anche come “Festa delle Capanne” o “Festa dei Tabernacoli”, è una delle festività ebraiche più gioiose e significative. Si commemorano i 40 anni in cui gli Israeliti errarono, nomadi nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto, vivendo in tende e capanne.

Elemento centrale nella celebrazione di Sukkot è la costruzione di una capanna, chiamata sukkah. Questa capanna deve avere come minimo tre lati e un tetto che permetta di vedere le stelle, deve essere fatto con rami, frasche e fronde.

 

 

Durante Sukkot, i pasti principali vengono consumati nella sukkah, con i familiari e ospitando amici. All’interno la capanna è decorata con ornamenti, luci e disegni, per renderla accogliente e festosa.

A presenziare nella sukkah vi sono anche degli invitati davvero molto speciali. I grandi personaggi degli inizi, le colonne della storia giudaica: Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Davide o Elia…

Di tenda in tenda, scopriamo altri significati attribuiti della festa. La sukkah evoca il peregrinare precario, sotto le stelle, con rifugi improvvisati. Ma un altro termine per indicare la tenda, Mishkan, ci conduce direttamente al dimorare di Dio con il popolo. Luogo di presenza e di incontro, correlato alla nube che guidava il popolo nel deserto.

Mishkan e Shekina, il luogo e la presenza, spazio aperto alla manifestazione e all’incontro, dimensioni necessarie per chi vuole dimorare.

Oltre alle consuete preghiere quotidiane, durante il Sukkot viene recitato l’Hallel, un insieme di salmi di lode, per ringraziare Dio per le benedizioni riconosciute nei frutti della terra e nella protezione durante il viaggio nel deserto.

C’è anche una preghiera speciale chiamata Hoshanot. L’orante la formula tenendo in mano i rametti di quattro specie di piante, chiamate Arba Minim (Le Quattro Specie) che sono: Lulav (palma), Etrog (cedro), Hadas (mirto), A’ravah (salice).

Preghiera dinamica, l’Hoshanot: i 4 rametti legati insieme vengono agitati durante la recitazione, orientandoli in 6 direzioni: nord, sud, est, ovest, in alto, in basso. Segno di unità e gratitudine per i doni della natura provenienti da ogni dove e celebrazione della universale sovranità di Dio.

Il canto recita: hoshana (noi ti preghiamo, salvaci). Cogliendo lo slancio universale della preghiera di Hoshanot, annotiamo l’assonanza con il nome di Gesù, Yeshua, che ha la medesima radice di Hoshana e che vuol dire salvezza.

Durante il cammino nel deserto, il popolo ha ricevuto dei doni essenziali, ne è stato come circondato, dai quattro punti cardinali, dall’alto e dal basso. Acqua, cibo, luce. La nube, luminosa durante la notte, viene rievocata nelle accensioni di lumini e candele. Si ricorda anche il gesto, solenne e grandioso, dell’illuminazione del Tempio di Gerusalemme in occasione di queste festività. I sacerdoti e i leviti, attraversando l’area denominata “cortile delle donne”, entravano nel tempio, appiccando il fuoco a 4 bracieri enormi che diffondevano luce in tutta l’area ed erano visibili da ogni parte della città.

Nessuno attraversa un deserto senza fare esperienza di quanto essenziale sia l’acqua. Durante la festa di Sukkot, si ricorda questo dono, scaturito prodigiosamente dalla roccia, percossa dal bastone di Mosè. Ai tempi di Gesù, una processione solenne partiva dalla sorgente di Ghicon, vicino alla piscina di Siloe, per portare l’acqua fino al tempio di Gerusalemme. Qui veniva versata in un foro dell’altare, a simboleggiare purificazione e comunione; legame tra gli abissi della terra bisognosa e l’immensità del cielo, prodigo di fertilità e di abbondanza.

Presenza, doni, abbondanza, la festa di Sukkot è all’insegna della gioia. È, per eccellenza. la festa dell’allegria. Si celebrano i frutti d’autunno: la vendemmia e la raccolta delle olive.

Vi è una curiosa appendice alla festa, potremmo chiamarlo l’ottavo dei 7 giorni di Sukkot. Unito e insieme distinto, il giorno di Shemini Atzeret, conclude il tempo della festa.

È un tempo speciale di raccoglimento, preghiera e lode a Dio; segna l’inizio di un nuovo ciclo nella lettura della Tohah.  Con il nome di Simchat Torah, diventa il giorno ultimo e primo di ogni rinascita. Si celebra con danze, processioni gioiose, trasportando i rotoli biblici della Torah.

Precarietà e presenza, doni essenziali e universali, parole che gioiosamente si rinnovano, sono dimensioni che volentieri accogliamo, sottolineature ai vissuti umani e cristiani della nostra vita.

Celebriamo, nei limiti molto precari della nostra umanità, la pienezza della Shekina, la salvezza radicale e senza esclusioni. Ci stringiamo in comunione all’interno della “tenda” che il Verbo ha edificato, non solo in mezzo a noi, ma nell’intimo profondo di ogni essere umano, facendosi carne (Gv 1,14).

Tempio della presenza divina e sorgente per i fiumi di acqua viva, il Cristo Risorto è la perenne novità delle nostre esistenze. Nella celebrazione domenicale, disponiamo di un formidabile giorno ultimo e primo (come uno Shemini Atzeret a scadenza settimanale).

Riconosciamo i doni che ci hanno raggiunto dai 4 punti cardinali, dall’alto e dal basso, accogliamo la Parola sempre nuova e apportatrice di novità per le nostre esistenze.

Accendiamo la luce di Cristo nei nostri cuori. La luce che ci guida e ci rende luminosi e buoni: desiderosi del bene per tutti, amanti della pace.

 

Paola Manganiello