In Terra Santa, la raccolta delle olive è un rito antico. Nei territori palestinesi diviene, con sempre maggior frequenza, un atto di resistenza in mezzo alle difficoltà. In una terra martoriata dal conflitto arabo-israeliano, i gesti pazienti della raccolta assumono un significato ancora più profondo: difendono una proprietà, resistono ai soprusi.
Sul Monte degli Ulivi (Gerusalemme est) è ovviamente scontato che la stagione della raccolta assuma un rilievo non solo agricolo. Nel quotidiano operoso delle varie comunità di vita consacrata presenti sul “Monte”, irrompe una priorità. Anche in tempi di minor frequentazione dall’estero (come quello attuale, segnato dalla crescita esponenziale della violenza) non mancano i volontari che accompagnano le comunità, tra contenitori, teli, olive da staccare dagli alberi, con mani e bastoni. Non si può possedere della terra su questo monte senza avere ulivi frondosi. I gesti della raccolta hanno una potenzialità “spirituale” che certo non sfugge dalle mani di una persona cristiana. Un certo metodo e coordinamento, la preziosità riconosciuta ad ogni singola oliva, la dedizione paziente, tutti i gesti meticolosi che educano ad una vita rispettosa dei frutti.
Fuori dai recinti delle comunità religiose, la raccolta di questo frutto assume un significato maggiormente “politico”. Per molte comunità palestinesi, oltre al beneficio alimentare, è forte il senso di rivendicazione, della terra, della vita. Atto di resistenza pacifica sempre più turbato dalla violenza arrogante dei coloni israeliani, notevolmente accresciutasi all’indomani del 7 ottobre 2023, come se fosse stata in attesa di un segnale che legittimasse ulteriormente la conquista illegale e odiosa della terra di Palestina.
Vi sono anche segni di pace, tra gli olivi. Alcuni attivisti israeliani si mobilitano in difesa dei diritti dei contadini palestinesi, unendo le forze, superando le barriere imposte dalla divisione e dallo spirito vendicativo.
Così, durante la raccolta, le comunità arabe e israeliane si trovano vicine, a volte in tensione, altre in cooperazione. Gli ulivi diventano oggetto di contesa, ma anche di collaborazione, in un fragile equilibrio tra resistenza e speranza. Questi alberi, radicati in una terra contesa, ci ricordano che la vera pace non può fiorire senza giustizia e riconciliazione.
Dalla raccolta si giunge alla spremitura, rendendo evidente la preziosità di ogni singolo frutto. L’olio, simbolo biblico di benedizione e alleanza, assume un significato ancora più urgente in una terra divisa, dove giustizia e diritti vengono continuamente messi alla prova. La Bibbia ci mostra come l’olio venisse condiviso con il povero, come simbolo di una giustizia sociale che abbatte le separazioni. Nella realtà attuale, l’olio d’oliva può richiamare all’impegno di una giustizia che protegga i diritti di tutti e che non permetta più la distruzione delle risorse vitali delle comunità. È un simbolo che ci invita a proteggere la dignità umana, a non lasciare che le divisioni geopolitiche tolgano alle persone il diritto alla vita, alla terra e al sostentamento.
Guardiamo la Pace come frutto della pazienza e della cura reciproca. Anche l’olio è frutto di un lavoro lento e costante. La pace e l’olio richiedono tempo, dedizione e volontà.
Gli olivi intrecciano i loro rami, incuranti dei confini e delle discordie. Sono l’invito ad una cura reciproca e necessaria, per un futuro di pace.
L’olio che lenisce e risana, alimenta e rafforza, richiama l’urgenza di un intervento che curi le ferite dopo decenni di conflitto. Metafora di un dialogo autentico, frutto di gesti e frutti condivisi, possa l’“olio” guarire le ferite delle popolazioni in Terra Santa.
Paola Manganiello