La preghiera per l’unità dei cristiani assume in Terra Santa un significato profondo e urgente. Siamo nel luogo in cui la storia della salvezza fonda le sue radici e dove la presenza delle diverse confessioni cristiane coesiste a stretto contatto, in una diversità ancora segnata da importanti conflitti.
Vivere qui, insieme, la fede apostolica, non è certo per soffermarsi su controversie teologiche, relative alla gestione di potere e privilegi. Il cammino, che annualmente occupa tale settimana, è fatto di presenze ed esperienze. In particolare, per quest’anno anniversario, ispirate a quella fede comune e condivisa, che segnò il Concilio Ecumenico svoltosi a Nicea (l’attuale città turca di İznik) nel 325.
A Gerusalemme, il richiamo all’unità non è solo un anelito spirituale, di fronte a dolorose divisioni; è soprattutto la necessità di incontrarsi oltre e meglio, a servizio di un bene autentico ed effettivo per l’essere umano, nel rispetto e nella pace.
Le Chiese animatrici quest’anno della settimana di preghiera, sono state: la Chiesa Cattolica (latina e greca), la Chiesa Ortodossa (greca, armena, siriana, etiope), la Chiesa della Riforma (anglicana e luterana).
Ogni giorno, una celebrazione differente ha animato la preghiera. Un dono arricchente per tutti i cristiani, senza arrendersi alle ferite causate da secoli di incomprensioni e divisioni.
Pregare per l’unità significa riconoscere che, nelle differenze, siamo discepoli dell’unico Signore. L’unità, dono dello Spirito, è anche frutto di decisioni, accoglienze e speranze.
I Padri di Nicea si impegnarono a trovare parole che potessero abbracciare l’intero mistero dell’incarnazione, della passione, morte e risurrezione del loro Signore. Nell’attesa del suo ritorno, anche i cristiani di tutto il mondo sono chiamati a testimoniare insieme questa fede nella Risurrezione, fonte di speranza e gioia, da condividere con tutti i popoli.
Il tema della settimana «Credi tu questo?» (Giovanni 11,26) ha segnato il cammino con una domanda che non cessa di interpellare. Rispondere “sì” a questa domanda, significa accogliere l’invito di Cristo a camminare insieme, superando divisioni, perché l’amore e la riconciliazione sono il cuore irrinunciabile del Vangelo.
Città Santa, segno di pace e insieme dramma dell’odio tra i popoli, Gerusalemme è una missione per ogni cristiano. Dove la vita ha vinto la morte, la diversità può solo essere un dono.
Paola Manganiello