Fortunatamente gli altri esistono e ci salvano in continuazione. Permettono alla nostra realtà umana di attuarsi, di raggiungere il proprio traguardo naturale. Condividere, sviluppare un cammino comune per il bene di tutti, è una scuola preziosa di vita cristiana. È una lezione certo faticosa, ma diventa soprattutto l’entusiasmante esperienza di uscire da se stessi, di vincere, con continuità perseverante, le barriere del proprio egoismo.

Esistere, per chi è naturalmente orientato alla comunione, è qualcosa che ha un assoluto bisogno degli altri. Le altre persone sono l’unica risposta al nostro desiderio di felicità. Non vi sarà mai una realizzazione autentica di se stessi, senza un’apertura all’incontro e alla comunione. L’egoista, escludendo gli altri dalla propria vita, si illude di aver fatto qualcosa contro altre persone. In realtà, il danno più grave è arrecato a se stesso.

Senza entrare in rapporto con gli atri la persona umana non può vivere. Rimane fatalmente diminuita o, piuttosto, neppure rimane, è perduta. Il semplice fatto di esistere chiama l’uomo alla relazione con gli altri. Non si tratta di un semplice incontro, di un evento fisico. Si tratta di dare esistenza alla propria identità, di uscire dal nulla e diventare persona umana. Un grande esodo di liberazione che non è possibile senza la presenza e l’azione degli altri.

Certo, vi è anche lo scontro, la diversità spesso genera pesi e conflitti. Ma senza gli altri, senza chi possa generare comunione, non c’è vita. Tra esseri umani la comunione è cosa che riguarda la libertà, è una scelta, un movimento voluto, responsabile. In questo senso possiamo considerare come l’esistenza dell’uomo si attui soltanto nell’amore. Vado verso l’altro con libertà, senza ricatti o moventi di profitto, senza violenza e costrizione. L’incontro di comunione esige che sia rispettata la libertà. Quella di colui che vuole incontrare e ugualmente quella di chi è raggiunto da questa decisione. Se non vi è gratuità, la libertà è a rischio.

Non si tratta di non provarne piacere, di non averne vantaggio, tutt’altro. È certo che ogni amore genera gratificazione, se è autentico. Non è pensabile che la realizzazione di se stessi, l’espressione della propria identità, possa attuarsi come dolore e afflizione, come negazione del bene e della gioia cui la persona è invece espressamente chiamata, addirittura, come ad ultimo traguardo, nel gaudio eterno del Paradiso.

Nella fede, l’umana esperienza dell’amore, riceve un infinito dono dall’alto. Il Concilio Vaticano secondo, nella costituzione apostolica Gaudium et Spes, ha colto con efficacia le profondità di questa possibile sintonia con la comunione vissuta da Dio stesso: “Il Signore Gesù, quando prega il Padre perché «tutti siano una cosa sola, come io e tu siamo una cosa sola» (Gv17,21), aprendoci prospettive inaccessibili alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l’unione delle Persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nell’amore. Questa similitudine manifesta che l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé. (GS 24)”. L’amore stesso di Dio, l’onnipotenza dello Spirito, raggiunge e trasforma, proprio sorgendo dal cuore, la capacità di bellezza e di gioia che abbiamo in noi.

 

Luciano Ruga