Qualunque cosa si faccia, è importante porre attenzione a quale ne sia lo scopo. Quello vero. A volte, infatti, vi sono traguardi solo apparenti, mentre i protagonisti dell’azione perseguono dei fini diversi, talvolta di egoistica utilità personale. Quando si cerca di orientare la propria azione verso il bene autentico della persona, nella sua integralità, ne dovrebbe derivare un modo di agire coerente.

Chi agisce spera che le cose gli vadano bene, ma ci si dovrebbe domandare verso quale scopo è orientata tale speranza. Non qualsiasi scopo legittima una buona speranza.

Quando il fine coincide con una persona, ci si trova di fronte a delle esigenze totalizzanti. Non si tratta, ovviamente, della pretesa di poter offrire tutto quanto sarebbe necessario. Né di voler trovare una soluzione per tutte le aspirazioni. La totalità non riguarda ciò che viene fatto, ma l’integrità della persona cui ci si rivolge, in tutte le sue componenti, valutate insieme.

Nel vangelo di Matteo (10,42), il semplice gesto di offrire un bicchiere di acqua fresca è inteso in questo senso.  L’esigenza di totalità, propria della persona, fa considerare come “discepolo” sia colui che porge il bicchiere di acqua, sia colui che lo riceve. È una particolare identità che qualifica le persone coinvolte, ponendo entrambe in relazione con Gesù Cristo e con il suo insegnamento.

L’invito è a riconoscere la piena dignità della persona nella comunione con il Figlio di Dio fatto uomo. Una tale dignità è in grado di esprimersi sempre, anche nella semplice offerta di un bicchiere di acqua fresca e nell’accoglienza grata di quel gesto, da parte di chi la berrà.

Donare qualcosa agli altri, considerandoli “persone”, nel rispetto totale della dignità che essi esprimono, esige di guardare a se stessi nel medesimo modo. Ad un “bisogno” si può dare qualcosa, ma ad una persona è necessario offrire se stessi.

Non si tratta quindi di privarsi di qualcosa, di una parte del proprio tempo, del denaro o forse di oggetti superflui. Attraverso la concretezza di queste cose si è piuttosto chiamati a donare se stessi, la propria persona, come la sola offerta degna. È un servizio offerto all’altra persona che ne tutela la dignità come soggetto attivo e responsabile.

Quando si dona se stessi, la “speranza” è certa. Facendo qualche cosa o mettendo dei beni a disposizione si spera che siano utili, che la persona apprezzi, che ci si senta felici di aver fatto qualcosa per gli altri… sono esiti incerti. Potrebbero verificarsi oppure no.

Se invece lo scopo è dono e comunione, vita condivisa, comprensione più profonda e vera, l’esito sperato è garantito: succederà certamente. Certo il cammino su cui avviare la propria speranza deve essere coerente al fine, al bene altrui sinceramente perseguito.

Se la speranza risultasse tradita, vorrebbe dire che si credeva di perseguire un fine, ma in realtà si speravano altre cose (quelle legate al vero scopo, nascosto e fallito).

La dignità battesimale pone tutti, attivamente, in un cammino di sequela, nella comunione con Cristo. Tutti qualifica all’annuncio, all’evangelizzazione, alla testimonianza, al lavoro attivo e responsabile nella “vigna” del Signore. Si può donare se stessi agli altri nella salute o nella malattia, nella gioia o nel dolore, nella speranza o nello smarrimento. Il dono di sé è possibile sempre e in Cristo Gesù diventa l’unica e autentica esperienza di salvezza.

La speranza che accompagna il dono sincero di se stessi è una salvezza che si realizza sempre.

 

Luciano Ruga