Cosa speriamo per la nostra esistenza? cosa offriamo all’esistenza altrui? Lo storpio alla porta Bella del tempio di Gerusalemme (At 3,1-10) chiede troppo poco, solo qualche soldo. Riceve molto di più, una guarigione fisica. A lui gli apostoli stavano tuttavia donando infinitamente di più. Sperava in una elemosina e riceveva la vita stessa di Dio, che è amore. Nel nome di Gesù Cristo il Nazzareno, dobbiamo ricevere e offrire pienezza di vita. Qualcosa di minore, sarebbe troppo poco.

Vi è molto movimento intorno al sepolcro vuoto. Donne che annunciano la vita, discepoli che riscoprono il cammino, soprattutto la Donna che porta la vita dentro di sé e la dona al mondo.

La risurrezione genera movimento. Leggendo, dal Vangelo, la narrazione di quanto accade dopo la risurrezione di Gesù, ci si accorge della presenza abbondante di verbi che indicano movimento. Intorno al sepolcro vuoto si va e si torna, si corre o comunque ci si mette in cammino.

Il racconto dei discepoli “in cammino” verso Emmaus (Lc 24,13-35) è particolarmente significativo al riguardo. Il testo di Luca evidenzia un nesso tra il movimento e la vita: la gioia, “il cuore che arde”. L’esperienza intensa di un cuore animato (ardente), è collocata “lungo il cammino”. Al contrario, annota l’evangelista Luca, quando i due viandanti si fermano hanno il volto triste.

Negli Atti degli apostoli (3,1-10), il mendicante storpio dalla nascita, presso la porta detta “Bella” all’ingresso del tempio di Gerusalemme, riceve un eccezionale dono di movimento, nel nome di Gesù Cristo, il Nazzareno. Potremmo concludere che l’esito della risurrezione è una vita “vivace”, un’esistenza intensamente proiettata verso gli altri. Il termine di questi cammini di risurrezione è descritto come annuncio, testimonianza, vita di relazione, servizio. Così è per le donne recatesi al sepolcro, inviate a dare un annuncio nuovo ai discepoli. Come pure per i viandanti di Emmaus, che testimoniano il proprio incontro con il Risorto concludendo il gioioso ritorno a Gerusalemme.

Tra le immagini più efficaci, per rendere l’idea di cosa avvenga a chi porta in sé un dono di vita, potremmo considerare quella offertaci dall’evangelista Luca con la visita di Maria alla cugina Elisabetta. Si tratta di uno dei cammini più vivaci che possiamo scorgere nella Bibbia, svolto con premurosa sollecitudine (Lc 1,39). Il dono di vita nuova, presente in Maria con una densità infinita, ha appena condotto la Vergine alla totalità della risposta: “eccomi”. Si tratta di una parola autentica, impegnativa, che si apre immediatamente alla concretezza dell’azione. Così Maria si pone in cammino, raggiunge “in fretta”, entra in relazione, testimonia, canta nel “Magnificat” la gioia del dono.

Ma come “camminerà” una persona disabile? Quale speranza ci motiverà, continuamente, a muovere i nostri passi?

Lo storpio della porta “Bella” è certo invitato a cogliere un dono grande di comunione con il Risorto, ma è tuttavia beneficato anche fisicamente. Può camminare e fare balzi.

C’erano molti storpi in Gerusalemme, quando colui che chiedeva l’elemosina alla porta detta Bella fu sanato dagli apostoli. Gli altri, che sono rimasti storpi, avevano poca fede? Non incontrarono gli apostoli al momento giusto? Per loro la salvezza non era sperimentabile?

Sono domande che introducono a temi fondamentali della fede, a lungo studiati e mai completamente risolti. Ci sentiamo di poter affermare che nel Signore risorto tutti sperimentano un incontro di salvezza. Nel nome di Gesù Cristo il Nazzareno è sempre offerta una vita divina da realizzare nell’umanità della nostra condizione personale e particolare, sana o malata che sia. La salvezza è una questione di amore e soltanto amando ne facciamo esperienza.

Fu davvero risanato lo storpio della porta “Bella”? Sì, se a partire da quel giorno, terminati i balzi e le corse, seppe amare, “camminando” verso gli altri, donando se stesso.

Luciano Ruga